Il bagno caldo

Vi avevo promesso di raccontarvi anche le mie incoerenze e questa è una di quelle: la mia dipendenza dalla vasca da bagno. Non potrei semplicemente vivere in pianta stabile in una casa non provvista di vasca da bagno. Ho bisogno della sua presenza in casa, anche se il lungo bagno rilassante dei miei sogni spesso è solo un lusso raro.

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Lo so che le docce sono meglio: più economiche ed ecologiche, ed un box doccia prende pure meno spazio di una vasca. Il bagno però…

Niente, nessun prodotto rende nuova la pelle come un lungo bagno e una bella strofinata con un asciugamano sulla pelle umida. Nessuna idea geniale mi è venuta sotto la doccia, con la sua efficienza, lava di qua, strofina di là, sei concentrata nell’azione e non c’è spazio per la creatività. La sensazione di essere avvolta e portata dall’acqua, di lasciarti andare, il corpo immerso che man mano cede all’acqua la sua resistenza e la mente che vaga sono piaceri a cui non riuscirò mai a rinunciare.

Quindi, ogni tanto, bagno.

Alla faccia del consumo di acqua di cui dimentico volontariamente la proporzione rispetto ad una doccia. Un tempo era anche un trattamento di bellezza, maschera al viso e ai capelli, prodotto snellente nell’acqua, pure un po’ di movimento per aiutare a massaggiare. Ora, dopo la maternità, l’evento è talmente raro che è puro relax, senza il pensiero della crema che si asciuga o dei tempi di posa che stanno finendo. Non ci rinuncio, nonostante le mie fisse di tutela ambientale.

Però man mano che cresceva in me la consapevolezza del loro impatto i miei adorati bagni sono cambiati: acqua calda ma non più bollente, che fa pure male alla circolazione, niente bagnoschiuma ricco di tensioattivi ma un poco di sale o di amido e qualche goccia di olio essenziale di lavanda. A volte tengo da parte un po’ dell’acqua di scolatura del riso (sì sì, basta mettere un’altra pentola sotto lo scolapasta) per usarla per ammorbidire la pelle. Poi accendo due o tre candeline, e risparmio pure corrente. Sono anche donna d’amore, non solo libertà, almeno secondo Bellavista.

L’assenza di bagnoschiuma poi aiuta a riciclare l’acqua una volta finito il momento di perfetta felicità a porte chiuse. Intanto l’acqua calda può continuare a scaldare l’ambiente fino a che non si raffredda un poco. Conviene tenere chiusa la porta per via dell’umidità che non è bene che vada in stanze non dedicate, ma il bagno rimarrà caldo senza utilizzare stufette o alzare il riscaldamento. Poi si dovrà arieggiare, naturalmente, e passare una spugnetta sulle pareti ma senza sprecare i vapori caldi appena generati. Poi riempio un secchio dell’acqua rimasta per tenerlo da parte da usare al primo scarico e infine, per pulire la vasca, strofino con una spugnetta in microfibra e un po’ di sapone quando ancora non è vuota e poi sciacquo alla fine, in modo da non utilizzare altra acqua. Così tacito la mia tormentata coscienza e mi concedo questo incoerente e piacevolissimo lusso poco ecologico.

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I piccoli e la creazione dell’opera artistica

Sono una frana a disegnare. Davvero. Il mio vecchio capo mi ha detto una volta che a matematica avrebbero dovuto mettere un corso di disegno per quelli come me, che a mano libera non sono capaci di fare nulla. Per fortuna che ho deciso di non insegnare, poveri alunni! E dire che sono pure nipote di un pittore, ma di quei geni non me ne deve essere arrivato neanche uno.

Ma so che sono così incapace perché non mi sono mai davvero esercitata: so che produrre qualcosa di bello richiede studio e fatica, ed è la sola attitudine che posso passare ai miei bimbi in tema artistico. Insegnare loro che tutti, anche i più grandi, lavorano duro per ottenere quello che vogliono e possono.

Se volete saperne di più su questa sola eredità grafica che posso passare alla prole, ne ho scritto un post per il sito de I piccolini.

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Pozioni magiche: il succo verde

Un altro modo per utilizzare quegli onnipresenti gambi di cavolo è centrifugarli.

La cosa diventa necessaria in inverno per due motivi principali.

Il primo è che i cavoli abbondano in tutte le loro versioni e non si può mangiare sempre zuppa di cavolo e non si può neanche metterne un poco in tutte le zuppe perché ha un sapore predominante e quindi si finisce per avere l’impressione di mangiare solo cavolo anche se è in mezzo ad altre 8 verdure.

Il secondo è che d’inverno si mangia meno verdura cruda (almeno, io ne mangio molta meno) e invece sarebbe il momento di fare il pieno di quelle buone vitamine presenti in tutte le verdure di questo periodo che aiutano tanto i sistema immunitario a passare indenni l’inverno.

A parte il cavolo cappuccio, i cavoli crudi a me non piacciono molto mentre l’idea di utilizzarlo per fare il pieno di vitamine mi sorrideva molto. Avevo letto del green juicing su alcuni siti d’oltreoceano, dove si scopre un nuovo supercibo e un nuovo elisir di lunga vita ogni giorno anche tra i cibi che ho sempre mangiato e mi è sembrata una buona idea per trarre il meglio dagli scarti delle verdure del mio frigorifero.

In inglese  green juice fa più figo di succo verde, ma il succo della questione succhi è: le piante a foglia verde, tipo i cavoli, sono piene di clorofilla.

succo verdeLa clorofilla fa un sacco di bene, specialmente a chi come me è tendenzialmente anemica, perché piace ai globuli rossi ed è piena di ferro biodisponibile, poi è depurativa, antisettica, antiossidante e bla bla bla. Per riuscire a buttare giù una quantità di clorofilla sufficiente uno dei metodi più efficaci è centrifugare piante a foglia verde, che non sono solo cavoli ma a casa mia d’inverno soprattutto loro, più che altro per tutti quei gambi un po’ fibrosi che voglio riutilizzare. Niente vi vieta di sperimentare con tutta la frutta e la verdura che volete, ad esempio conosco chi beve solo cetriolo e pera e per lui non c’è altro succo verde al mondo.

Naturalmente nei siti che lo sponsorizzano dicono che è l’elisir di lunga vita, rafforza il sistema immunitario, fa andare via le rughe e la cellulite e che potreste anche nutrirvi solo di questo per qualche giorno per essere nuove, belle e in forma.

Io mi fermo un po’ più in qua e mi accontento delle buone sostanze che veicola nell’organismo e che posso sottrarre addirittura a pezzi di verdura che altrimenti finirebbero in pattumiera.

La verità profonda del green juicing è che il succo di cavolo tel quel farà pure benissimo ma fa schifo. Però se ci centrifughi insieme una mela intera, ci aggiungi la menta e un pochino di limone diventa buono. Io per ottenere un sapore decente in genere faccio metà frutta metà residui di cavolo e un po’ di limone o menta o zenzero. La frutta e la verdura vanno messe nella centrifuga con tutti i semi e la buccia, tagliate grossolanamente. Limone e spezie si aggiungono alla fine.

Dato che l’occhio vuole la sua parte, io mi attengo alla gamma cromatica verde, cioé aggiungo mele, kiwi, pere in modica quantità e nessuna frutta troppo gialla o rossa che farebbe tendere il centrifugato al marroncino e così lo trovo meno piacevole da bere. Per me è ottimo dopo che ho fatto movimento, mi sembra che il mio corpo mi chieda proprio un supplemento di energia e vitamine ma nulla di troppo pesante. La fame da lupo mi viene infatti circa dopo un’oretta e a quel punto mi illudo di poter divorare quello che mi pare che tanto il mio sano succo verde l’ho già preso.

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La minestra di Gianburrasca

Non è che sia un gran complimento, chiamarla la minestra di Gianburrasca. Qui in casa viene altrimenti identificata come la zuppona, che non è che suoni molto meglio. Non si tratta propriamente di acqua di risciacquatura dei piatti, ma saporita è saporita.

IMG_20131013_202144Mai uguale a se stessa, oltre ad essere sana, biologica, zeppa di vitamine è pure a costo quasi nullo, perché viene fatta con gli scarti delle verdure. Ogni tanto ci si infila una patata, un po’ di farro, una vecchia crosta di parmigiano reggiano dai 24 ai 30 mesi di invecchiamento., che ammollato nella zuppa e insaporito di verdura è prelibato. Oppure si può far scivolare un’ombra di stracchino avanzato, un fondo di latte, persino un cucchiaio di yogurt che con il suo sapore un po’ acidulo ha comunque qualcosa da dire.

Non vi illudete, è raro che qualcuno mi accompagni nei miei pasti serali a base di zuppona. Gli altri inquilini di casa sono uomini e pare che il potage sia roba da femmine. E infatti la mia compagna di potage preferita è mia mamma, che essendo francese se ne intende.

Ma come nasce la zuppona? Comincia a delinearsi quando arriva la famosa cassetta delle verdure con le sue varie sorprese. Da quando la ricevo mi sono finalmente messa a cucinare verdura “vera”, quella non sbucciata e tagliata in pezzi ma da tagliare e preparare, e il primo effetto che ho visto è come la proporzione tra cestino dell’umido e cestino dell’indifferenziato si sia improvvisamente invertita.

Mentre sbucciavo, dirigevo le operazioni di sgranatura famigliari o mondavo foglie mi chiedevo sempre se quelle parti superflue fossero da scartare come non buone o semplicemente come non adatte alla preparazione. Non avendole mai trovate in una busta di surgelati potevo avere il dubbio che fossero davvero cibo.

Ho chiesto in giro, a persone che erano vissute in altri tempi, se davvero le foglie di cavolfiore fossero da buttare e come ci si comportava con la buccia della zucca o la parte verde dei porri. La generazione a cui chiedere non è quella dei nostri genitori, anche loro figli della comodità dei surgelati, ma più indietro, a nonni e bisnonni. E le loro risposte erano in genere che ai loro tempi si mangiava tutto, e con gusto.

Così ho cominciato a raccogliere scarti e ad usarli in separata sede. Non solo, ci metto attenzione a cucinarmi questi scarti, li fotografo e mi sento molto ecofighetta quando apparecchio di tutto punto per gustarmi le mie creazioni sottratte alla pattumiera. Che volete, ognuno ha le fisse che si merita.

Mi organizzo così: man mano che si preparano le verdure tengo da parte gli scarti. Se so di poterli usare a breve li taglio e li metto in un sacchetto tipo ziplock nel frigo, altrimenti direttamente nel freezer specialmente se voglio provare a mescolare più verdure. Ad esempio vanno molto bene insieme buccia di zucca e la parte verde dei porri, o diversi tipi di cavolo. Se la verdura è stata lessata ributto gli scarti direttamente nella stessa acqua di cottura (ad esempio lo faccio per le foglie di cavolfiore), frullo e metto da parte.

Non vi lascio un elenco degli scarti che uso oppure ho usato, perché non li ricordo tutti. Se ho in mano qualcosa che ha un’apparenza alimentare faccio un giro su google e trovo come usarlo, spesso su http://cucinaeco.wordpress.com/, in cui la mia omonima fa prove su prove riuscite di cucina a costo quasi nullo.

Vi lascio invece le ricette delle mie zuppone preferite, quelle che rifaccio perché dopo il primo esperimento mi sono piaciute molto. Sono state provate varie volte ma non riesco a dare loro la dignità di una ricetta vera perché troppo semplici e con le dosi troppo ad occhio. Ma è autunno, c’è la crisi e una zuppa calda in pancia aiuta a sentirsi meglio e io vi annuncio che ricomincio la stagione delle mie cene a base di raffinati scarti alimentari di cui vi lascio qualche suggerimento dei più riusciti.

Vellutata di buccia di zucca con semi di zucca e curry

Lessare la buccia di zucca nella pentola a pressione in poca acqua, in modo che si cuocia quasi a vapore, aggiungere un bicchiere di latte, salare e frullare. Insaporire con il curry e servire con una manciata di semi della stessa zucca lasciati seccare in forno caldo e spento (ad esempio dopo aver cucinato una torta).

Minestra di foglie di cavolfiore, patate e farro

Lessare le foglie di cavolfiore nella pentola a pressione con una patata piccola. Scolarle, conservando da parte l’acqua, e frullarle con un cucchiaio della stessa. Nel frattempo far cuocere nell’acqua di cottura un paio di manciate di farro. Unirle al passato e servire.

Zuppa di cavolo nero e formaggio

Tagliare a pezzi piccoli i gambi di cavolo nero a cui sono state tolte le parti più filamentose e lessarli insieme ad una cipolla. Frullare e passare con un colino largo. Versare in una pirofila con abbondante formaggio tipo emmental e gratinare al forno.

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Il regalo perfetto

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Questo Luglio io e il Partenopeo abbiamo festeggiato dieci anni dal giorno che abbiamo convolato a giuste (?) nozze. O nozze giuste, meglio.

Credo di aver ricevuto per l’occasione il regalo perfetto. Proprio quello lì, in corsivo. Primo, era una cosa che desideravo ma al momento non sembrava così prioritaria da acquistare: la bicicletta. E non una bicicletta qualunque. Il decennale consorte ha seguito passo passo il recupero di un vecchio telaio presso la bottega artigianale di Bologna Ri.Ciclo  (biciclette di recupero uniche e in contropiede), decidendone i dettagli, controllandone lo sviluppo in modo che incontrasse perfettamente i miei gusti.

Ri.ciclo ha ricostruito la bicicletta montando i freni contropedale, che oltre ad essere comodi da usare eliminano i brutti fili che rovinano la linea della bici e curandone la messa a punto. La ruote, sellino e manubrio sono nuovi, tutto il resto è originale, riciclato da varie bici. Insomma, una bici pensata e bella. Che ha una storia. Che è fatta per piacermi. Ecologica perché fa muovere senza inquinare ed ecologica anche perché non nuova. Ho già comprato due catene enormi per evitare che qualcuno si porti via il mio nuovo tesoro.

Ci vorrò aggiungere un cavalletto, penso, ma il campanello è stato fatto arrivare dall’Inghilterra, il marito ne cercava uno adatto e l’ha trovato su internet. Non è perfetto? Dovete sentire che bel Dinn! che fa. Poi mi mancherà solo un bel cesto da appendere al manubrio e sarà completa.

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Ah, la bicicletta. Com’è vintage e moderna la bicicletta. Quando ero studentessa ne avevo una molto scassata che avevo ridipinto di nero e punteggiato di margherite bianche e gialle, per una mia versione delle margherite GURU che tanto andavano in quegli anni. Ci ho girato Bologna, con la mia Margherita a ruote, e ho continuato ad andare in bici anche nei primi anni di lavoro. 

Poi ho comprato casa e macchina, ho cambiato Margherita con una bici nuova e anonima, dopo il lavoro andavo a comprare mobili o pitture per sistemarmi la mia casetta e ho cominciato ad usarla meno. I figli poi hanno dato la mazzata finale, due e vicini e il tempo sempre più scarso. E loro che odiavano il seggiolino della bici, che ormai era praticamente inservibile.

Questa nuova bici voglio che segni l’inizio di una nuova fase, in cui mi riapproprio di un modo di muoversi gratificante.

Perché muoversi in bicicletta è prima di tutto un’iniezione di autostima: è solo la tua energia cinetica su un mezzo semplice che ti porta in giro, non c’è bisogno di benzina, solo le tue gambe. Senza contare le calorie bruciate. E anche se non sempre si pedala in mezzo ad aria pulita, dicono che l’aria dentro l’abitacolo della macchina sia peggio. Magari mi metterò un elegante foulard di seta a guisa di bandito del far west per filtrare le pm10, bisogna fare scelte di classe anche sulle due ruote. 

Sono fortunata, sono vicina ad una pista ciclabile che con un po’ di giri mi porta nei punti nevralgici di Bologna.  L’auto mi piace poco, e la eviterò ancora di più.

Ah, la bicicletta. Il regalo giusto al momento giusto. Perfetto.

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La spesa alla spina

C’è un’immagine che turba la mia fantasia tutte le volte che apro gli sportelli della mia cucina, e sono i ripiani della dispensa della Zero Waste Home, in cui il cibo è tutto elegantemente contenuto in barattoli di vetro, e non si vede nessun futuro rifiuto dato da incarti e lattine. Una dispensa strepitosa, elegante, ecologica, desiderabile.

Ho provato ad impegnarmi ad avere una dispensa così e qualche passo avanti l’ho fatto, soprattutto grazie al gruppo d’acquisto e agli enormi pacchi di pasta e farina di ogni genere che tengo in cantina e con cui rabbocco i contenitori della cucina di quando in quando. Meno incarti di quando si fa la spesa al supermercato di sicuro, ma ancora non basta.

L’idea di fare come Béa e andare a fare la spesa con i miei bellissimi barattoli di vetro da riempire di cibo biologico senza produrre il più piccolo scarto… eh… che sogno!

Bene, sappiate che ora posso. Non solo, l’ho già fatto. Ho infilato barattoli e barattolini nella mia sporta di tessuto e sono andata con tutta la famiglia all’inaugurazione del negozio in franchising Ariecoidee che ha appena aperto a Bologna. C’era un sacco di bella gente che usciva con biscotti, farine, pasta, riso spillati alla spina e ben insacchettati in ecologissimi sacchettini di carta.

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Il mio obiettivo era comprare dei biscotti, visto che la merenda era saltata e dovevo dare una motivazione ai bimbi per avermi seguito, ma soprattutto delle spezie in modica quantità. Io amo cucinare con le spezie, ma i vasetti che vendono nei supermercati ne contengono sempre troppe per l’uso che ne faccio. Volevo pochi grammi di pepe bianco, in grani. E li ho ottenuti. Un sabato ben impiegato, insomma.

C’è stato un piccolo momento di perplessità in negozio quando ho cominciato a tirare fuori tutti i miei barattoli di vetro, e per un attimo ho pensato di aver esagerato, ma sono stati presto accolti con calore e subitamente riempiti.

I bimbi hanno voluto anche uvetta e mandarini cinesi canditi da sgranocchiare, ed effettivamente il negozio era pieno di piccole bontà biologiche che incitavano al saccheggio.

Datemi solo un po’ di tempo e poi venite a vedere la mia dispensa perché ho intenzione di riempirla di cose buone e felicemente imbarattolate e alleggerire ulteriormente la spazzatura che esce da qui: non zero waste, forse, ma less waste di sicuro.

(foto di Ariecoidee – Bologna)

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Incoerente

Qualche giorno fa qualcuno, senza firmarsi, ha lasciato un commento in fondo ad uno dei post dicendo che il nome del blog farebbe davvero pensare a qualcuno che vive con il minimo mentre è evidente che il mio stile di vita è molto superiore, visto che ritengo indispensabili la lavastoviglie e il roomba.

Sul momento la cosa mi ha urtato ma ora devo dire che ha ragione, nonostante non sia carino lasciare commenti anonimi.

Mi dispiacerebbe molto se, in questo momento di crisi, qualcuno venisse qui per trovare consigli o conforto per un momento di effettivo bisogno e leggesse i miei post tutto sommato frivoli che parlano di come fare ginnastica a casa o di come farsi una casacca di seta. Mi dispiace sul serio, immagino come sia essere nel bisogno e sentirsi presi in giro da un blog che in realtà non è affatto incentrato su quello che ci è necessario per vivere.

Speravo che il sottotitolo, piccoli lussi a basso impatto, spiegasse un po’ il lato leggero di questo blog. Come forse sapete, il titolo è ispirato ad una canzone del film Il libro della giungla, che ho riscoperto guardandolo con i miei bambini. Ne avevo una versione cantata da Louis Armstrong in un cd e mi è sempre piaciuta, e l’ho scelta per il suo lato allegro e spensierato di approcciarsi ai bisogni, non certo perché volessi parlare seriamente delle nude necessità della vita, come nel testo inglese.

Quando ho aperto questo blog per vari mesi abbiamo vissuto in quattro con circa 1000 euro al mese. Non abbiamo fatto molta fatica, in realtà. Partivamo da una situazione privilegiata: casa di proprietà, genitori vicini che ci aiutavano con i bambini, nessuna grossa spesa in vista e poca attitudine ad acquistare troppe cose superflue.

Però  penso che se avessimo spesi i nostri soldi in maniera tradizionale non ce l’avremmo fatta. Io penso che siamo riusciti a stare in quel budget per quattro motivi principali: usiamo la macchina il meno possibile, facciamo la spesa tramite i gruppi d’acquisto e ci nutriamo in modo semplice, non abbiamo paura a rivolgerci al mercato dell’usato quando abbiamo un bisogno e abbiamo quasi abolito l’usa e getta.

Noi siamo quelli che, dopo che ci hanno spaventato per anni dicendoci quanto costava avere un figlio, abbiamo notato che con l’arrivo dei bambini abbiamo cominciato a risparmiare: avevamo cambiato mentalità e avevamo cominciato a fare più attenzione alla necessità e alla qualità di quello che ci procuravamo per loro. E anche perché con la prima gravidanza mi era venuta la fissa ecologica e questo ha comportato risparmio in vari campi che non mi aspettavo.

Ora le nostre entrate sono aumentate, ma sono talmente tanto randomiche da non poter fare affidamento su quello di cui disporremo il mese prossimo. Anche oggi la sostituzione improvvisa della caldaia vuol dire fare attenzione per tanti mesi. Non saprei fare il conto esatto di quello che spendiamo ogni mese, e questo non va bene. Comunque anche se la nostra situazione economica è migliorata, il nostro percorso continua.

Non sono una persona coerente che vuole insegnarvi come si sta al mondo, sono una donna di fronte a tante sfide, e una di queste è come cercare di rispettare l’ambiente e contrastare il consumismo senza percepire un costante senso di privazione, ma essere al contrario coscienti dell’abbondanza di cose belle e buone di cui ci si circonda ogni giorno. A volte ho bisogno di ripetermelo, e qui scrivo le mie piccole vittorie.

Non ho ancora la casa libera e semplice che vorrei. A volte, se non si fa attenzione, vedo i nostri rifiuti aumentare anziché diminuire.

Ma ci sto provando. E per chi, come una mia amica l’altro giorno, mi dice “A te sembra sempre tutto facile.” ho deciso di istituire una nuova categoria di post: le incoerenze. Vi racconterò che faccio il pane con il lievito di birra e non con la pasta madre, che spesso prendo l’ascensore e non faccio le scale e che quando ho delle settimane davvero da incubo compro i surgelati al supermercato sotto casa. Magari mi aiuterete voi a trovare la motivazione per migliorare anche le zone d’ombra, o comunque ne rideremo insieme, perché sono tutt’altro che perfetta, e lo sapete.

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Un post da fashion blogger

Questo post è dedicato alla mia cara Caia, che sostiene che sotto sotto io abbia palesi ispirazioni da fashion blogger. Non dico che non mi piacerebbe avere l’estro e parlare di abiti e scarpe con verve e maestria, anzi, ma ci sarebbe un notevole impedimento, oltre una certa mancanza di fotogenia: non credo di possedere sufficienti vestiti da poter tener vivo un blog. Neanche mescolandoli molto più di quanto normalmente faccia riuscirei a tirare fuori qualcosa come un dayly outfit che riempia queste pagine per più di un mesetto.

Inoltre mi interesso più di ventagli e crinoline che della fashion week. Queste ultime settimane ho messo direttamente come già letti tutti i siti che hanno come argomento principe sfilate, street style & co. Il periodo delle settimane della moda, in qualunque città queste si svolgano, mi annoia enormemente. Come dire, mi mancano i fondamentali.

Certo, direte voi, al ritmo a cui pubblichi potresti anche diventare la prima fashion blogger minimalista dei dintorni. Tipo 4 post all’anno, ai cambi di stagione. E avreste pure ragione. Per quello oggi mi voglio divertire anche io a fare un post da fashion blogger, con sfumature di autoproduzione e lusso economico, come si conviene a lostrettoindispensabile.  Tutto è partito da un acquisto inutile. Impulsivo. Insomma, l’acquisto da non fare. Questa primavera infatti ho comprato questo splendido scampolo di seta, senza alcuna idea di come impiegarlo, perché ho adorato la fantasia e il prezzo accessibile vista la qualità del materiale.

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Bello vero? Avevo bisogno però di trovargli presto un utilizzo per non sentirmi troppo a disagio con me stessa: che farne? Una casacca, una gonna… su Instagram c’erano coretti che inneggiavano ad un paio di “pajama pants” ed effettivamente sarebbe stato perfetto per quelli, se non fosse per il tessuto un po’ trasparente e la mia scarsa considerazione per le mutande a vista.

Nell’indecisione la visita dalla sarta veniva rimandata giorno dopo giorno, con questo tessuto inutilizzato che mi pesava un po’ sulla coscienza, finché non sono partita per le vacanze e ho infilato il taglio di stoffa in valigia, pensando che sarebbe stato un peccato lasciar passare l’estate senza ricavarci qualcosa. L’idea era di cucirci una gonna, ma improvvisamente un giorno, l’illuminazione: sarebbe stata una casacca leggera con scollo arricciato all’americana.

La realizzazione è davvero semplice. Bisogna ritagliare due rettangoli, poco più ampi dei fianchi e cucirli sui lati lunghi lasciando giusto lo spazio per il giro manica. Orlare sotto e rifinire il giromanica, poi ricavare due piccole coulisse nei due bordi liberi superiori, infilarci un nastrino per lasciar arricciare la scollatura. Et voilà, neanche un’ora di lavoro.

Con un po’ di tessuto avanzato ho ricavato una piccola fusciacca, da legare tra i capelli o in vita. In realtà, non sapendo bene come sarebbe caduto, l’ho lasciato un po’ lungo e forse anche leggermente troppo largo, e la prima volta l’ho indossato come miniabito con sotto una sottoveste in maglina blu. Non credo che lo userò più così, ma il Partenopeo mi ha fatto delle foto e ve le mostro in questa versione.

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Io però lo preferisco come casacca, o ancora meglio, in questa stagione, come top sottogiacca, proprio per questa fantasia a foulard che sembra piuttosto adatta ad accostarsi alle linee pulite. Eccomi qui, smartphone alla mano, che mi faccio le foto davanti allo specchio. Sembro quasi una di quelle vere, eh?

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La morale della storia è che ho un capo di seta nuovo, semplice, fatto da me, iperversatile e costato in proporzione molto poco. Forse, se mi impegnassi sul serio e comprando uno stock di tessuti da tagliare a rettangolo e cucire, persino lostrettoindispensabile potrebbe diventare un fashionblog. Ma prevedo il fallimento per scarsità di post quindi potete tenermi nella categoria ibrida, così non mi mancheranno le cose da dire. Dai, ditemi voi, come sono andata?

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Grazie per i tutti i premi, di cuore.

Ultimamente ho ricevuto un po’ di premi, di quegli award carucci carucci che ci si scambia tra blog. Mi fanno un gran piacere, ogni volta sorrido e arrossisco un poco quando li ricevo, e mi riprometto di ringraziare e ricambiare con il post in cui si premiano altri blog che sei invitato a fare quando ricevi questo tipo di riconoscimento.

Solo che quando mi metto al computer per farlo, mi rendo conto che avrei da scrivere dei post con qualcosa di attinente al tema del blog, che ne giacciono troppi cominciati e mai finiti nelle bozze, che in fondo questi premi non li merito molto vista la mia scarsa costanza negli aggiornamenti… e alla fine scrivo un post sull’argomento del blog, ossia il mio percorso verso una vita quotidiana più semplice e gratificante.

Purtroppo il mio tempo per questo spazio è estremamente limitato. Non che pensi che se chiudessi lostrettoindispensabile cambierebbe poi la vita di qualcuno dei miei lettori, ma la mia sì. Scrivere nero su bianco questi miei passi mi aiuta a cercare di mantenermi costante per poi vantarmi qui dei miei progressi. Non vorrei per nulla al mondo essere ingrata di questa attenzione e questa pubblicità, ma purtroppo non riesco a rispondere se non a scapito degli altri contenuti. Mi scuso davvero, cercate di capirmi.

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Oro e lino

Riallacciandomi al post precedente, c’è un’altra tappa che mi impongo prima di sostituire un oggetto: controllare che non ci sia già in garage, soffitta, cantina mia, di un famigliare, o anche degli amici, una sostituzione degna.

Dopo tanti anni di accumulo, ormai da generazioni, neanche noi conosciamo tutto quello che possediamo o che possiede la nostra famiglia, mentre siamo molto preparati su quanto riviste, internet e pubblicità sostengono che ci manchi.

Ci sono tesori dimenticati, là in fondo agli armadi, sopra i mobili, nelle cantine e nei garage. Forse non avranno un gusto contemporaneo, ma a volte è solo questione di prospettiva. Perché il nuovo comunque richiede una nuova produzione, una distribuzione, un acquisto, e il desiderio di liberarsi del superfluo non deve nascondere la voglia di fare spazio a nuovo superfluo.

E’ la sensazione che provo a volte leggendo qua e là i consigli per il decluttering: liberarsi di tutto quello che non si usa, donare, riciclare, gettare. E questo è ok. Ma poi, è quando si arriva alla famosa parte dell’acquisto “ponderato” per colmare gli inevitabili vuoti che la razzia ha lasciato, che ho a volte l’impressione che questa moda del decluttering sia solo un modo di far posto a nuovi consumi in un mercato ormai saturo.

Perché meno è meno è meno è meno.

Dobbiamo reimparare ad amare il vuoto, il bisogno, e dopo il contenuto degli armadi e delle case bisogna iniziare “consumare” le soffitte e le cantine. Abbiamo tante cose accumulate negli anni, alcune più robuste e resistenti di quelle che possiamo trovare nei negozi. E belle, anche se magari dalle linee più tradizionali.

L’ultimo ingresso a casa nostra sono i lussuosi piatti con gli anemoni blu e rosa e il filo d’oro che erano stati regalati ai miei genitori per il matrimonio. Non li avrei mai scelti, personalmente. Mi piacciono linee  semplici e motivi più sobri, ma ero rimasta con davvero pochi piatti del vecchio servizi e l’alternativa era limitare gli ospiti o procurarmene di nuovi. O vecchi.

Ora mi sento una principessa ad apparecchiare sempre a festa, con il servizio prezioso. Li lavo in lavastoviglie e i miei bimbi li romperanno nei loro tentativi di aiutarci ad apparecchiare e sparecchiare.

Pazienza. Meglio usati e rotti che a prendere polvere nel fondo di un armadio.

E una principessa mi sento a dormire tra le lenzuola di lino ricamate a punto pieno. Sono della mia vicina di casa, che mi ha visto crescere, a cui la mamma le aveva comprate per il suo corredo. Lei non si è mai sposata, ma non è tanto questa la ragione per cui non le ha mai utilizzate: ha un letto ad una piazza e mezzo, e me le ha regalate per il mio matrimonio. Io le ho tenute da parte un po’, mi sembravano troppo preziose (e poi il lino è una rottura da stirare).

Ora invece le uso, sono splendide e così fresche d’estate. Stiro solo il bordo ricamato, e a volte anche no, ho pensato che non è una ragione di lasciarle nell’armadio. E sono veramente grata alla mia vicina: chiamavo Nonna Vera sua madre, quando ero piccola, e lei Zia Clara, e sono così felice di avere un suo ricordo.

Conosco tante persone che non usano le cose belle che hanno. A volte lo fanno perché non hanno capito che i campioncini un giorno scadono, oppure perché ne hanno tante, o si sentono a disagio ad usarle. A volte siamo noi, i nostri famigliari, i nostri vicini. Prendiamo questi tesori in soffitta e usiamoli, e in questo tempo di crisi, apparecchiamo con tovaglie ricamate ed argenteria, onoriamo i regali e i   ricordi.

E se si macchieranno e si sciuperanno, li avremo vissuti, questo oro, questo lino, questo argento, questi ricami, sottraendoli alle tarme, alla polvere e al tempo, che li consegnerebbe a estranei che non ne conoscono la provenienza e potrebbero apprezzarli infinitamente meno di noi e dei nostri ospiti.

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